Home

Ending in a day                                                                                                                                  Seeing in your eyes                                                                                                                       Silence in your eyes                                                                                                                       

PIL, Swan Lake/Death Disco.

 

 

Ari scende dal treno, passa veloce sotto la pioggia, si stringe nel cappotto, si guarda intorno per cercare Alex. Lo vede da lontano, il suo viso che adora, le viene da sorridere. Lui sta scendendo dalla macchina, guarda verso la stazione, la vede, sorride e apre le braccia. Le sue braccia sono un posto caldo e sicuro, sono il posto dove vuole essere, sono le notti in cui non riesce a dormire, i brutti sogni senza dimensione, la sensazione di cadere, ma poi si gira e lui è lì.

Si abbracciano, Ari dice: guido io, e siede al volante. Ci impiega un po’ a mettere in moto, mentre Alex mette la valigia nel bagagliaio, poi siede accanto a lei, la guarda, ride, dice: attenta, non così. Poi dice: è una settimana che piove, dicono che. Lei ferma la macchina nel parcheggio, si gira, lo bacia. Dice: ti amo. Lui sorride, dice: stasera voglio portarti al fiume. Lei ride, accende lo stereo, collega l’ipod, dice voglio sentire Swan Lake, quel basso. Si ferma al semaforo, al verde riparte, una donna corre per attraversare in ritardo, Alex dice: attenta! Ari frena di scatto, i capelli le cadono davanti alla faccia, alla signora cade l’ombrello. Alex fa un gesto di scuse alla macchina dietro. La signora, spuntata dal nulla, raccoglie l’ombrello e scompare. Ari respira forte, stringe il volante, le mani nei guanti a strisce bianche e nere. Alex la guarda, dice: stai bene? Dice: vuoi che guidi io? Dice: non preoccuparti, non è successo niente. Ari sorride, dice: ok, dice: sto bene, e riparte. Ascoltano Swan Lake. Alex dice: è una settimana che piove, dicono che… Ari solleva una mano: non importa, non mi importa cosa dicono.

Fuori dal finestrino ci sono le montagne alte, ci sono palazzi e case di legno. C’è la pioggia. C’è il fiume. Stasera voglio portarti al fiume.

Continua a piovere. Gocce sui vetri, sul cappotto, nella fontana. Rumore di freni e di ruote che passano nell’acqua. Ari arriva a casa di sua nonna, che la bacia, le appende il cappotto, mette su il caffè, dice: è una settimana che piove, dicono che… Ari le mette le mani sulle spalle, sorride, dice: nonna, lascia stare, faccio io. Prende due tazze, la zuccheriera di vetro, appoggia tutto sul tavolo della cucina, sposta delle briciole con la mano, si siede sulla poltrona vicino alla stufa. La nonna dice: sei sempre bella, ma sembri stanca. Ari dice: ma no, è che mi sono svegliata presto per prendere il treno, e mentre lo dice le viene in mente D. e si porta la mano alla gola.

(Il treno era appena partito, e qualcuno era entrato nello scompartimento, si era fermato accanto ad Ari senza sedersi. D. aveva detto: sei proprio tu? Ari si era girata e per la sorpresa si era portata la mano alla gola, aveva detto qualcosa tipo: hey, e: vuoi sederti? D. si era seduto, l’aveva guardata, le aveva detto: sei sempre bella, ma sembri stanca. Più tardi avevano detto è strano incontrarsi così, avevano fatto le solite domande, come stai, dove vivi, avevano detto ogni tanto ripenso a quella notte, la notte dei fantasmi… Ari aveva riso, aveva detto io la chiamo così: la notte dei fantasmi. D. aveva preso l’ipod, aveva detto: te la ricordi questa? Il treno passava vicino al lago, e avevano ascoltato Swan Lake. Ari aveva detto lo sai, sto con Alex adesso, e lui non aveva risposto. Quando la canzone era finita D. aveva messo via l’ipod, aveva appoggiato la testa contro il sedile, e il paesaggio era cambiato. Appena prima di arrivare, D. le aveva detto: lo so, e le aveva toccato una guancia. Ari aveva chiuso gli occhi, lui si era alzato per scendere, aveva preso il borsone, e aveva detto: ciao.)

La nonna dice: è pronto il caffè, Ari dice: nonna, scusa, mi ero incantata a pensare, si alza, versa il caffè nelle tazze bianche. La nonna accende la radio, ci mette un po’ per trovare una frequenza, si siede nella poltrona accanto a lei. C’è il notiziario locale, Ari sente le parole, come in un sogno, uno di quei sogni senza dimensione. Una frana. Una macchina con un ragazzo a bordo, travolta e finita nel fiume. Circa due ore prima. Ari si rovescia il caffè sulle mani, si alza in piedi, dice: nonna, è Alex. Sulla macchina. Nel fiume. È lui. E la nonna non le dice: come fai a saperlo. Non le dice: vedrai che non è vero. Si avvicina e le asciuga le mani con il fazzoletto, e le si riempiono gli occhi di lacrime.

Ore più tardi Ari arriva al fiume, sola, i capelli bagnati di pioggia, le mani rosse, gelate. Luci di emergenza, i vigili del fuoco. Gente che si muove, gira intorno, solo per guardare. Si avvicinano, con ombrelli neri e stivali di gomma, curiosi, attrezzati. D. è tra loro, la vede, corre da lei. Come stai? Ari lo guarda, dice: la canzone che abbiamo ascoltato stamattina. Il lago dei cigni. Nel lago dei cigni alla fine gli amanti muoiono sommersi dall’acqua. Piange. D. le passa una mano sui capelli, con il suo fazzoletto le asciuga il viso dall’acqua, dalle lacrime. Ari si piega in avanti come se lo stomaco le si stesse spezzando in due. Apre la bocca per gridare, ma non ce la fa, non esce nessun suono, e mentre D. la prende in braccio e la porta verso la macchina, la mette in salvo dalle luci, dagli ombrelli e dal fiume, Ari pensa io lo so, dalla mia gola non uscirà più nessun suono, non uscirà un suono, mai più.

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s